L'ISOLA DINO

Antistante le coste di Praia a Mare spunta imperiosa l’Isola Dino, la maggiore delle isole calabresi. Il suo nome deriva probabilmente dall’etimo greco “dina-dinè”, vortice, tempesta. Il piccolo golfo infatti, compreso tra l’isola e la Punta di Scalea, era temuto dagli uomini di mare a causa delle frequenti e violente mareggiate che ne rendevano difficoltosa la navigazione. Ai più romanici, invece, piace far risalire il nome al vecchio tempio aedina, che un tempo sorgeva sull’isola. Secondo la leggenda degli intellettuali aietani del ‘700, il tempio fu fatto costruire da Enea, figlio della dea Venere e del mortale Anchise, il quale era passato sul nostro mare e dove poco più avanti perse il suo nocchiero Palinuro. Secondo la mitologia virgiliana, infatti, queste furono le vie marittime che percorse Enea per arrivare alle rive di un ampio territorio che d’allora venne chiamato Lazio (Da Latus che in latino vuol dire largo). Dino, secondo questa leggenda verrebbe dal termine latino Aedes,is, che vuol dire tempio; quindi aedina, ae sarebbe il diminutivo, donde sarebbe derivato il nome Dino, tempio che Enea aveva dedicato alla madre Venere e del quale non restò nulla se non il nome “Dina”, divenuta più tardi isola Dino.

La sua forma è simile a quella di un ellissoide con l’asse maggiore lungo circa 1 chilometro disposto in direzione Est-Ovest e l’asse minore di circa 500 metri, con la superficie di 40 ettari. La parte superiore è quasi completamente ricoperta di macchia mediterranea e la parte centrale dell’isola è occupata da un pianoro d’altezza variabile tra i 75 e i 100 metri. I versanti esposti a Nord e a Sud si presentano con diversa morfologia. Il versante a Nord è costituito per quasi tutta la sua lunghezza da una falesia verticale, che scende a picco nel mare con un’altezza di circa 70 metri, fino ad interrompersi a pochi metri dal mare con una scogliera molto aspra. Il versante a Sud presenta un profilo meno aspro: degrada dolcemente verso il mare terminando con un’ampia scogliera. 

L’isola, sito di interesse comunitario per le oltre 300 specie di piante presenti, ha fianchi a strapiombo alla base dei quali, sia sopra che sotto il livello del mare, l’erosione sulle rocce calcaree ha dato vita a molte grotte in cui le stalattiti e le stalagmiti disegnano monumenti naturali unici sul litorale cosentino.

Secondo la tradizione, nel V secolo d.C. sull’Isola avrebbe dimorato l’eremita Sant’Isernio. In seguito alla lotta iconoclasta, voluta da Leone III Isaurico molti monaci si trasferirono nelle nostre zone e, accanto al Monastero di S. Elia (ubicato nell’attuale Santuario della Madonna), tra il IX ed il X secolo sorsero sull’isola la chiesa ed in monastero di San Nicola De Signa o De Dina che nel 1065 furono donati ai monaci di Santa Maria d’Acquaformosa. Un’altra fonte riferisce che, tra il V ed il X secolo, sulle rovine del tempio pagano, sorse la chiesa di Santa Maria. Oggi di queste opere restano poche tracce e qualche insignificante rudere. Le intemperie non hanno risparmiato neppure la maestosa e solenne croce di pietra eretta sull’isola nei primi anni del 1900. 

L’isola fu testimone di lotte e battaglie, incursioni piratesche, assalti, difese disperate. Vascelli musulmani vi fecero tappa in più occasioni nel corso delle loro spedizioni nel nostro paese nel IX secolo d.C., nel XV e nel XVI. Nell’estate del 1600 il litorale fu preso d’assalto dai Turchi, guidati da Amurat Rays, che con il suo esercito di pedoni e le sue navi terrorizzava il Meridione d’Italia. Gli aietani si trincerarono sull’isola ed opposero forte resistenza. Dopo giorni di assalto i difensori guidati da Francesco Vitigno furono tutti catturati ed uccisi. Nel 1806 l’Isola divenne base delle operazioni della flotta anglo-borbonica, agli ordini dell’ammiraglio Sidney Smith, che tentava di opporsi alla penetrazione dell’esercito napoleonico in Calabria. Nel 1812 Gioacchino Murat elimina la feudalità. Il Demanio reale sottrasse l’isola al Marchese di Aieta, nella cui giurisdizione la stessa ricadeva e la concesse al Comune di Aieta. Successivamente l’isola passa ai borbonici. 

Nei pressi dell’Isola, durante la notte di Santo Stefano del 1917, un sommergibile tedesco affondò il piroscafo inglese “Umballa” che trasportava derrate alimentari. Dopo la tragedia, che costò la perdita di molte vite umane, la campana della nave venne donata al Santuario della Madonna della Grotta. Fu issata sul campanile dopo essere stata ribattezzata “Santa Maria della Vittoria”. 

Nel 1928 l’isola diventa proprietà del Comune di Praia a Mare, quando lo stesso diventa autonomo.

Nel 1956 l’isola viene data in concessione per 99 anni al signor Sergio Serelli per la sua valorizzazione, senza alcun risultato. Nel 1962 l’isola viene venduta per 50 milioni alla società Isola di Dino S.p.A. del Comm. Bottani e di Gianni Agnelli, che con consorella Mediterranea S.p.A. doveva porre allo sviluppo turistico a livello internazionale dell’intero territorio da Fiuzzi a San Nicola Arcella. Fu effettuato lo sminamento dell’isola, e venne costruita una strada di 1700 metri che collega il pontile di attracco con la parte alta dell’isola, dove furono costruiti dei cottages, delle villette e un ristorante ad oggi in disuso.

LE GROTTE

Il perimetro dell’isola, sprovvisto di arenile, misura 3 chilometri. Lungo lo stesso si trovano delle Grotte interessantissime, in parte erose dal moto ondoso e ricche di concrezioni. Iniziando il suo periplo dal versante Nord si incontrano le seguenti Grotte:

La grotta del monaco molto piccola e di scarsa importanza, prende il nome da una roccia sovrastante che, a guadarla di profilo, dà l’idea di un monaco in preghiera. Molto suggestiva quando i raggi del sole la illuminano da ponente;

La grotta delle sardine che si trova in un’insenatura, sotto il primo strapiombo. Le sue acque, sempre limpide, perché riparate dai venti, consentono di osservare ad occhio nudo il fondale, circa 10 metri di profondità. Così chiamata per la copiosa presenza di sarde lì pescate un tempo con una particolare rete detta il “cianciorro” (in dialetto “cianciolu” dal greco Kyanos, azzurro + òlos, tutto; tutto azzurro in riferimento alla qualità del pescato, il pesce azzurro);

La grotta del frontone che prende il nome dalla punta occidentale, detta Frontone, la grande fronte dell’isola. È posta su una banchina di grossi massi con un’ampia entrata, che si affaccia a mare guadando Punta Scalea con due grandi occhi. Quello a sinistra immette in un antro di ridotte dimensioni con pareti levigate dal flusso e riflusso delle acque nella stagione invernale e perciò quasi marmoree; quello di destra è molto più ampio e con le colonne calcaree che lo sorreggono sembra quasi il pronao di un tempio; da esso, attraverso un’apertura piuttosto ristretta si entra in un primo ambiente a cupola irregolare le cui pareti sono lisce, levigate e ricche di incrostazioni stalagmitiche. L’antro continua ora restringendosi ora allargandosi in grandi caverne in cui le stalattiti e le stalagmiti hanno creato arabeschi veramente eccezionali;

La grotta delle cascate posta ad una cinquantina di metri dalla grotta del Frontone in una larga frattura inclinata della stratificazione della roccia, lunga 60 metri. Ci si può addentrare al suo interno con una piccola imbarcazione per una ventina di metri. La volta, che scende verso sinistra come spiovente di un tetto a una falda è ricca di piccole e bianche stalattiti. Le acque sono limpidissime e lasciano vedere nitidamente le rocce levigate e arrotondate del fondo, ricoperte da un leggero strato di muschio. Ci si addentra poi a piedi e nel fondo della grotta si possono ammirare sui lati le rocce levigate dall’acqua e sul pavimento numerose conchette di forma diversa, simili ad acquasantiere;

La grotta azzurra è la più nota tra le cavità naturali presenti nell’Isola Dino. Il suo nome, come è intuibile, deriva dalla sorprendente colorazione che assume l’acqua al suo interno. Lungo le pareti si possono scorgere fossili marini mentre sul fondo vivono spettacolari esemplari di conchiglie e coralli. Posta sul versante Sud è lunga 70 metri e ha una profondità di circa 12 metri. La disposizione e l’altezza della volta rocciosa non levigata, la posizione della cavità esposta a mezzogiorno con la parte interna orientata verso il levante e leggermente in penombra attraverso gli effetti di luce, sia quella diretta che penetra all’interno della grotta attraverso l’ampia apertura e sia quella indiretta riflessa dal fondo, danno un colore azzurro verde rame, in contrasto con l’azzurro pastoso dei bordi interni. Acquista pertanto una particolare luminosità e bellezza a mezzogiorno, quando i raggi del sole la illuminano a perpendicolo. Caratteristici alcuni punti della volta che presenta piccoli buchi cilindrici opera dei litodomi;

La grotta del leone, posta a Sud-Est, guarda direttamente verso la spiaggia e la torre di Fiuzzi, protetta da uno sperone roccioso. è una cavità irregolare, nel cui basso fondale, circa 5 metri, si può pescare il corallo. Così detta per una roccia che, distesa nell’acqua di colore smeraldo, quasi al fondo della grotta, nella penombra dà l’idea di un leone disteso con la testa sollevata. La roccia della volta, striata ed angolosa, assume colori rossastri e grigio chiari con larghe macchie verticali verde e nero;

La grotta Gargiulo è certamente la meta subacquea più nota ed importante dell’intero tratto della costa calabrese. Rientra nel Sito di Interesse Comunitario “Fondali Isola Dino-Capo Scalea”, a 18 metri. di profondità, al di sotto del Frontone, si apre la grotta sommersa, la più bella e spettacolare, ma anche la più impegnativa, consigliata soltanto a subacquei molto esperti. La grotta prende il nome da Enrico e Rosaria Gargiulo che la scoprirono e la esplorarono tra il 1978 ed il 1982 e che dopo accurati rilevamenti, descrizioni dei vari ambienti e disegni condotti in collaborazione con il professore Paolo Colantoni, geologo marino, hanno provveduto ad iscriverla nel catalogo delle Grotte della Calabria come “Grotta Gargiulo”. La Grotta è un angolo segreto dell’isola Dino. Lunga ben 124 metri si dipana tra camere, corridoi, cunicoli e due campane d’aria. La grotta nelle sue varietà di forme, offre visioni scenografiche straordinarie: formazioni stalatto-stalagmite alte 8 metri che sembrano un maestoso colonnato di una cattedrale, rocce di colore chiaro e buchi, segni di un antico fiume sotterraneo, imponenti stalattite lunghe oltre 4 metri che avranno impegnato almeno 10.000 anni per formarsi. Poi la grotta è stata sommersa dal mare, due campane d’aria con specchi d’acqua cristallini ed un ambiente da togliere il fiato; le volte sono completamente ricoperte da stalattiti chiare di varie forme, alcune delle quali ancora attive. Diverse stalattiti invece continuano sott’acqua

FLORA E FAUNA

La foresta di Dino: Enrico e Rosaria Gargiulo, nel febbraio del 1990, sulla Rivista “Il Subacqueo” comunicano l’esistenza nei fondali dell’isola Dino di una foresta di Paramuricee. Un ambiente che si estende su una piattaforma localizzata all’altezza del Frontone, nell’estremità occidentale, a meno di 30 mt e fino a 50, che ospita inoltre una notevole varietà di vita. Esemplari analoghi si trovano nei fondali dell’isola di Medas in Spagna, di Tavolara in Sardegna e Portofino. Sono però esemplari isolati. La particolarità della “Foresta di Dino” consiste nell’insolita colorazione che passa dal colore rosso a quello giallo cromo, con tutta la serie di sfumature intermedie evidenziate sulla matrice rossa centrale. Le colonie di Gorgonie arrivano fino a oltre un metro di altezza. È un’immersione impegnativa anche perché lo spettacolo è talmente stupefacente che non si vorrebbe più risalire! Il sito non ha eguali nel Mediterraneo, ed è simile a quelle di Scilla in Calabria.

Già nel 1902 erano state rilevate sull’isola ben 104 biotipi e nel 1976 il prof. La Valva insieme al collega Ricciardi ne rilevò ben 271. Vi crescono diverse varietà di piante tra cui il mirtillo, il lentisco, la ginestra, il leccio, e il pino. Per gli amanti della botanica è da sottolineare la presenza di macchia mediterranea e leccete nonché varietà rare quali la Palma Nana (Chamaerops Humilis – anche chiamata Palma di San Pietro), il Talittro Calabro, il Garofano delle Rupi (Dianthus Rupicola) e la Primula di Palinuro (Primula Pa- linuri) così chiamata perché fino a poco tempo fa si credeva crescesse solo a Capo Palinuro, nel Salernitano. Conigli selvatici, rondoni, colombaccio, il colombo terraiolo e la quaglia marina sono alcuni degli animali caratterizzanti la fauna dell’isola. Moltissime specie di volatili usano l’isola come sosta nelle loro migrazioni: la marzaiola, il germano reale e la beccaccia di mare.